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Enrico Benassi (Mezzani 1902 – Parma 1978)

Benassi è  noto, a livello internazionale, come uno dei più grandi pittori naïfs italiani. Il Benassi approdò all’arte del dipingere alla fine degli anni Sessanta. All’inizio usava come supporto per i suoi lavori cartoni ritagliati dal fondo di scatole di cioccolatini oppure scatole di confezioni di biancheria e compensati. Dopo l’iniziale esperienza impressionista Benassi elaborò un proprio mondo fantastico, sempre più personale e ricco di colori e di ironia con una totale evasione in mondi fantastici e paradisiaci. Dai primi anni sessanta è presente a livello mondiale in tutte le manifestazioni d’arte naif, con una bibliografia eccezionale. Sue opere furono esposte in tutto il mondo, dal Giappone (dove un suo quadro servì per la copertina di un volume sui naïfs), all’Europa e all’America. Nel 1997 sue opere furono presenti alla Triennale di Bratislava, nella mostra con la quale fu inaugurato il Museo Charlotte Zander presso Stoccarda e fu l’unico italiano esposto nella retrospettiva dedicata all’arte naive nel castello di Bonnegheim. Appassionato di musica, suonava il banjo, la chitarra e il mandolino. Del rapporto della pittura del Benassi con la musica Anatole Jakovsky, uno dei più grandi critici internazionali del settore, scrisse: “Le sue composizioni fiabesche non tengono conto né dell’unità di luogo né di quella di tempo, mescolando il reale e l’irreale, il passato e il presente, senza dubbio perché egli è, innanzi tutto, un poeta. Di più, un poeta e anche un musicista”.

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Pietro Cugini (Colorno, 2 agosto 1750 – 12 gennaio 1821)

Allievo del Petitot all’Accademia parmense di Belle Arti, su suo progetto furono eseguiti l’Oratorio della Beata Vergine del Buon Cuore di Copermio e il Potager oggi scomparso. L’incarico più prestigioso l’ebbe nel 1791 quando gli venne affidata la direzione dei lavori per l’ampliamento, la modificazione dell’orientamento e la costruzione della facciata della Chiesa di San Liborio di Colorno. Unica opera nota della sua attività avanzata è il disegno per la chiesa di San Biagio a Torrile, inaugurata l’anno dopo la sua morte.

FONTI E BIBL.: G. Bertini, Colorno, una guida, Parma, 1979, 65, 69, 75; M. Pellegri, Colorno, villa ducale, Parma, 1981, 115, 146, 150 n., 159;

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Raffaele Cugini (Colorno, 30 luglio 1742- aprile, 1794)

Allievo del famoso architetto A.E. Petitot presso l’Accademia di Belle Arti di Parma, vinse nel 1764 il primo premio di architettura per il progetto di una cappella sepolcrale. La sua attività nota si svolse tutta a Colorno e probabilmente con funzioni più esecutive che progettuali. Non si hanno notizie di lui fino al 1778, quando, con un decreto ducale del 17 dicembre, venne ammesso insieme a Pietro Cugini, erroneamente considerato suo fratello dallo Scarabelli Zunti, nella Congregazione degli edili e con lui incaricato della sovrintendenza alle Reali Fabbriche della villa di Colorno. Nel 1780, a seguito del trasferimento dei frati domenicani presso San Liborio in Colorno, avvenuto per volontà ducale, si iniziò sotto la direzione del Cugini la costruzione del convento adiacente alla chiesa. Nell’anno successivo si occupò della ricostruzione della Chiesa di Santo Stefano e nel 1791 gli venne affidata la direzione della costruzione del ponte di San Giovanni sul torrente Parma, progettato da G. Cocconcelli e crollato nell’Ottocento, come si legge sulla lapide posta sotto la statua di San Giovanni Nepomuceno, ancora sita a capo del ponte.

FONTI E BIBL.: G. Bertini, Colorno, una guida, Parma, 1979, 65, 69, 75; M. Pellegri, Colorno, villa ducale, Parma, 1981, 115, 146, 150 n., 159;

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Moisè Fontanella (Colorno, 1799 – Colorno, 22 marzo 1874)

Dopo aver completato gli studi a ventidue anni partì alla volta di Torino per darsi alla carriera bancaria. Assunse importanti incarichi al Banco di Marsiglia e di Parigi, ove rimase fino a sessant’anni. Nel 1859 tornò a Colorno. Delle sue beneficenze pubbliche, uno speciale cenno deve essere fatto per l’asilo infantile. Quando il canonico Bernoldi e il Chevé (quest’ultimo fu per molti anni sindaco di Colorno) fondarono l’asilo, non ebbero che a manifestare al Fontanella questa intenzione per ottenere gli aiuti necessari. Il Fontanella e suo fratello Zaccaria si obbligarono infatti a una ingente quota fissa annuale e quando quest’ultimo non fu più in grado di mantenere l’impegno assunto, affinché l’asilo non venisse privato di una parte del contributo, il Fontanella si addossò l’onere delle due quote. L’asilo venne fondato l’11 maggio 1868. Per quanto grande fosse l’impegno dei dirigenti, non sempre le condizioni economiche del pio istituto furono sufficientemente prospere, ma il Fontanella fu sempre pronto a sostenerlo con offerte straordinarie. L’eredità del Fontanella comprese molti lasciti testamentari a favore di istituzioni colornesi.

FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 11 marzo 1966, 9.

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Domenico Baldassarre Cossetti (Colorno, 6 gennaio 1752 – Parma 4 maggio 1802)

Architetto e incisore, è annoverato tra gli allievi più vicini a A. E Petitot, insieme con L.A. Feneulle, G. Ferrari, Trombara e D. Ferrari. Nel 1772 vinse il primo premio nel concorso di architettura bandito dall’Accademia parmense di Belle Arti, avente per tema La Pianta, lo Spaccato, e l’Elevazione d’un Edificio destinato a Bagni pubblici. Nel 1802 venne nominato professore di architettura presso l’Accademia di Belle Arti di Parma. Per un certo periodo di tempo si stabilì a Parigi, dove incise per il Libro d’Architettura di Chalgrin.

FONTI E BIBL.: Dizionario biografico dei Parmigiani

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Antonio Chevè (Colorno, 4 luglio 1809 – Colorno, 11 febbraio 1890)

Nato in una famiglia francese in Italia durante l’Impero napoleonico, fu consigliere e assessore del Comune di Colorno. Tenne per lungo tempo la carica di Deputato dell’8° Comprensorio del Po e fu uno dei fondatori dell’asilo infantile, che lasciò erede dei suoi beni. Lasciò un diario manoscritto degli avvenimenti politici e amministrativi di Colorno e, per incidenza, di Parma. Diario che alcuni amministratori dell’asilo infantile di Colorno, cui pervenne in eredità, non coscienti della gravità del loro atto, diedero alle fiamme col pretesto che il Chevé negli ultimi tempi della sua vita vi aveva raccolto qualche pettegolezzo, lesivo a persone ancora viventi. Con questo gesto sconsiderato perirono notizie preziose e curiosi aneddoti della Corte di Maria Luigia d’Austria e degli ultimi Borbone di Parma. Si salvò solo un fascicolo di minute, tra cui importantissime quelle che riguardano gli avvenimenti del 1848 e del 1859. Il Chevé raccolse documenti e opuscoli del Risorgimento.

FONTI E BIBL.: Dizionario biografico dei Parmigiani

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Costantino Canicetti (Colorno, 30 novembre 1596 – Colorno, 2 agosto 1674)

Le notizie biografiche sul Canicetti sono alquanto scarse. Le fornisce in modo succinto la sua Memoria. Si sa che morì all’età di quasi 78 anni e fu sepolto nella chiesa di Santa Margherita di Colorno, alla sinistra della porta d’ingresso, come era usanza per le persone di un certo rilievo. Fece parte del capitolo dei canonici addetto alla chiesa collegiata di Santa Margherita istituito nel 1664. I benefici, consistenti in donazioni di terreni le cui rendite dovevano servire al mantenimento dei canonici e all’esecuzione delle funzioni religiose, erano stati istituiti dalla Compagnia del Santissimo Sacramento. Tra i lasciti incamerati, uno dei più cospicui fu quello inerente l’eredità di Filippo Cardinazzi: in conseguenza di ciò, il Canicetti si assunse il compito di officiare una messa quotidiana per trentadue anni in memoria del benefattore. La Memoria del Canicetti costituisce il più importante documento per la storia di Colorno nel Seicento sia per l’ampiezza cronologica delle vicende narrate, che vanno dal 1618 al 1674, sia per la scarsità di altre fonti pervenute. Il diario riserva al lettore un’enorme quantità di notizie necessarie per conoscere usanze, tradizioni, modi di parlare e scrivere del Seicento.

FONTI E BIBL.: Dizionario biografico dei Parmigiani

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Giuseppe Boccaccio – (Colorno, 1790 – Parma, 5 febbraio 1852)

Dimostrò fin da bambino notevole attitudine al disegno, suscitando l’interesse del duca di Parma Ferdinando II di Borbone, che volle aiutarlo nello studio della pittura. L’Infante Ferdinando però morì nel 1802, e fu Salvatore Balzari a farlo continuare negli studi. Il Boccaccio divenne noto soprattutto come paesaggista. Nel 1817 l’Accademia di Belle Arti di Parma lo nominò accademico d’onore e nel 1819 la duchessa Maria Luigia d’Austria lo scelse come suo maestro di pittura e contemporaneamente lo nominò scenografo del Teatro Ducale di Parma. Come maestro e consigliere artistico di Maria Luigia, seguì la sua protettrice nei suoi numerosi viaggi, in Austria (nel 1820 fu a Vienna), in Italia (nel 1830 fu a Roma), in Svizzera e in Germania ed eseguì per la sua allieva numerosi dipinti, in particolare acquerelli (suoi volumetti di vedute e impressioni sono nella Biblioteca Palatina di Parma). Nel 1821 il Boccaccio fu nominato dall’Accademia di Belle Arti professore consigliere con voto e destinato all’insegnamento di paesaggio. Nella sua attività pittorica, in genere, scelse come soggetti fiori e paesaggi, solo animati a volte da figurette romantiche del tutto subordinate all’ambiente naturale, secondo il gusto dell’epoca. Anche come pittore di teatro si dedicò esclusivamente alla scenografia paesaggistica

Nel 1844 mandò all’Esposizione di Belle Arti di Milano un Ritorno di Linda da Chamonix e un Episodio della guerra di Russia e l’anno dopo una Veduta boschereccia negli Appennini, che potrebbe identificarsi con Attraverso l’Appennino parmense, firmato, esposto alla mostra retrospettiva del paesaggio parmense dell’Ottocento (Parma, 1936, p. 10 del catalogo). Alla Galleria Nazionale di Parma sono conservati due paesaggi del Boccaccio. Due grandi tele con cavalli sono presso l’Istituto d’Arte, una Caccia (attribuitagli) è all’Accademia di Belle Arti di Parma. Nel Museo Glauco Lombardi di Parma è conservata una Veduta di Velleia (acquerello, catalogo, p. 27). Il Boccaccio fu considerato dai contemporanei uno dei migliori scenografi e un importante maestro della nuova generazione, anche se, alieno dal neoclassicismo, non si allontanò mai dal gusto romantico né aprì nuovi orizzonti alla scenografia del suo tempo. Suoi allievi furono G. Magnani (che gli successe alla Scala) e A. Fontanesi. Alla sua scuola si formarono la duchessa Maria Luigia e i pittori Giuseppe Drugman, Giuseppe Alinovi, Luigi Marchesi, Erminio Fanti, Giacomo Giacopelli, Pasquale Domenico Cambiaso e Alberto Pasini.

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Karl Barwitius (Boemia – post 1838)

Il Barwitius si dedicò dal 1807 al 1810 allo studio dell’arte del giardinaggio presso il Gran Giardino Tochnisch a Gratz, in Austria, diretto dal capo giardiniere Johann Wenzel Frodisch. Alla fine di questi tre anni gli venne rilasciato l’attestato di giardiniere, che gli permise di entrare al servizio della duchessa Maria Luigia d’Austria. Il Barwitius, membro della Società d’Orticoltura di Londra, giunse a Parma nel 1816 al seguito della Duchessa, in veste di direttore del giardino di Colorno. Egli, in collaborazione con il direttore dei boschi e serragli e capocaccia di Sua Maestà Antonio Linhart, allestì tra il 1816 e il 1838 i giardini ducali di Colorno, Sala (Casino dei Boschi) e Collecchio (Ferlaro), mentre il giardino ducale di Parma fu affidato alle cure di Michele Oranger, direttore dei regi giardini. Il Barwitius, seguendo i presupposti culturali che stanno alla base del giardino paesistico inglese, introdusse nel paesaggio originario del giardino di Colorno notevoli modifiche di carattere naturalistico e idrografico. Osservando le planimetrie redatte dal Barwitius, si può notare come esse rispecchino la tipica iconografia del giardino ottocentesco basata sulle teorie romantiche della pittura, dalla quale egli trasse i simboli da utilizzare nella fase progettuale del giardino. Il Barwitius fu autore del Catalogo delle piante del giardino di Colorno (Parma, 1825).

(FONTI E BIBL.: P.A. Saccardo, Botanica in Italia, 1895, 23; Aurea Parma 1 1993, 12-13)

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Luigi Mora, “paglista” (Colorno, 15 marzo 1886 – Colorno, 8 dicembre 1956)

Nacque a Colorno il 15 marzo 1886, per guadagnarsi da vivere lavorava come operaio lattoniere e vetraio con lo zio materno Domizio Delfrate. Fu il primo “paglista” italiano: nelle ore di libertà e in quelle sottratte al riposo, con costanza e pazienza, aveva inventato un metodo per l’esecuzione di finissimi ricami artistici con la paglia di frumento. 

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