Nato a Colorno il 28 ottobre 1881, Lombardi compì gli studi classici conseguendo nel 1907 l’abilitazione all’insegnamento della storia dell’arte, pur non esercitando mai la professione di insegnante; dal 1945 al 1955 fu preside dell’Istituto d’Arte di Parma intitolato a Paolo Toschi.
A soli 16 anni iniziò a praticare la fotografia, attività cui si dedicò con costanza, raggiungendo risultati di elevato dilettantismo; restano degni di nota i servizi realizzati nel 1915 sugli ospedali militari di Parma e Noceto, sul manicomio di Colorno e sull’ospedale della Croce Rossa di Parma. Per anni fu corrispondente del quotidiano “Il Resto del Carlino”. Al 1900 risalgono le sue prime ricerche sugli edifici monumentali di Colorno, che sfociarono, nel 1904, nella monografia sulla Reggia intitolata “La Versailles dei Farnese”. La sua battaglia culturale per un degno recupero della residenza colornese dei Duchi di Parma non conobbe esitazioni. I numerosi interventi pubblicati sulle pagine di “Aurea Parma”, la rivista da lui fondata con Giuseppe Melli nel 1912, testimoniano il suo impegno nel rintracciare e rivendicare la restituzione degli arredi asportati per volere dei Savoia da Parma e Piacenza. Le sue ricerche archivistiche lo portarono a notevoli scoperte ed importanti recuperi di opere d’arte e testimonianze storico-documentarie, in particolare sulle figure di Maria Luigia d’Austria e Napoleone Bonaparte. Il primo grande nucleo della sua raccolta, ospitato nel Palazzo Ducale di Colorno dal 1915 al 1943, si arricchì considerevolmente nel 1934, a seguito dell’acquisto, presso il conte Giovanni Sanvitale, di numerosi oggetti appartenuti a Maria Luigia e da questa lasciati in eredità alla figlia Albertina Montenuovo Sanvitale.
Nel 1925 aveva avuto particolare rilievo l’ingresso nelle sue collezioni di un importante nucleo di disegni dell’architetto Petitot; fu invece graduale l’acquisizione di opere e documenti legati all’incisore Paolo Toschi, cui nel corso della sua vita Lombardi dedicò ben due mostre.
Autore: Antea Progetti
Luigi Mora, “paglista”
Nacque a Colorno il 15 marzo 1886, per guadagnarsi da vivere lavorava come operaio lattoniere e vetraio con lo zio materno Domizio Delfrate. Fu il primo “paglista” italiano: nelle ore di libertà e in quelle sottratte al riposo, con costanza e pazienza, aveva inventato un metodo per l’esecuzione di finissimi ricami artistici con la paglia di frumento. Nel Gran Libro D’oro è descritto come «un simpatico giovane, esempio di instancabile lavoratore, di ammirevole gusto artistico che a pochi è dato di possedere». La sua arte si configura in 12 tavole divise in tre parti ingegnosamente ideate e combinate: la prima dà i preliminari riguardanti la paglia, la seconda tratta l’intreccio e la terza riguarda l’intarsio, sistema di lavorazione paglistica fissato in un libro di sua pubblicazione, adottato come lavoro manuale dalla Scuola “Corso Magistrale” di Rimini. Era il fratello del pittore Dino che amava chiamare “il mio disegnatore” in quanto era lui che gli forniva la base per la creazione dei disegni su tavole, lavorati ad intreccio ed intarsio con paglia di frumento di Firenze: una paglia priva di nodi e quindi per sua natura adatta a questo tipo di lavorazione. Fu artista di valore, ma anche ottimo cittadino. Non potendo partecipare attivamente alla difesa della patria perché riformato, si rese utile arruolandosi volontariamente nel Cantiere Aeronautico Ansaldo di Borzoli a mare in qualità di lattoniere. Nei numerosi articoli di giornale che lo onorano, si apprende che il cavalier Luigi esegue, anche su commissione, lavori in paglia che vengono poi offerti in voto, a diversi Santuari. In onore dei caduti colornesi della seconda guerra mondiale, realizzò due quadri celebrativi, oggi conservati nell’Archivio Storico del Comune di Colorno. Luigi Mora morì a Colorno l’8 dicembre 1956, riposa nel cimitero locale a fianco della moglie Pierina Ghezzi e dei figli Dino e Rosetta.
Per saperne di più https://www.facebook.com/I-Fratelli-Mora-in-cartolina-Luigi-e-Dino-Mora
Luigi Mora, “paglista”
Luigi Mora, “paglista” (Colorno, 15 marzo 1886 – Colorno, 8 dicembre 1956)
Nacque a Colorno il 15 marzo 1886, per guadagnarsi da vivere lavorava come operaio lattoniere e vetraio con lo zio materno Domizio Delfrate. Fu il primo “paglista” italiano: nelle ore di libertà e in quelle sottratte al riposo, con costanza e pazienza, aveva inventato un metodo per l’esecuzione di finissimi ricami artistici con la paglia di frumento. Nel Gran Libro D’oro è descritto come «un simpatico giovane, esempio di instancabile lavoratore, di ammirevole gusto artistico che a pochi è dato di possedere». La sua arte si configura in 12 tavole divise in tre parti ingegnosamente ideate e combinate: la prima dà i preliminari riguardanti la paglia, la seconda tratta l’intreccio e la terza riguarda l’intarsio, sistema di lavorazione paglistica fissato in un libro di sua pubblicazione, adottato come lavoro manuale dalla Scuola “Corso Magistrale” di Rimini. Era il fratello del pittore Dino che amava chiamare “il mio disegnatore” in quanto era lui che gli forniva la base per la creazione dei disegni su tavole, lavorati ad intreccio ed intarsio con paglia di frumento di Firenze: una paglia priva di nodi e quindi per sua natura adatta a questo tipo di lavorazione. Fu artista di valore, ma anche ottimo cittadino. Non potendo partecipare attivamente alla difesa della patria perché riformato, si rese utile arruolandosi volontariamente nel Cantiere Aeronautico Ansaldo di Borzoli a mare in qualità di lattoniere. Nei numerosi articoli di giornale che lo onorano, si apprende che il cavalier Luigi esegue, anche su commissione, lavori in paglia che vengono poi offerti in voto, a diversi Santuari. In onore dei caduti colornesi della seconda guerra mondiale, realizzò due quadri celebrativi, oggi conservati nell’Archivio Storico del Comune di Colorno. Luigi Mora morì a Colorno l’8 dicembre 1956, riposa nel cimitero locale a fianco della moglie Pierina Ghezzi e dei figli Dino e Rosetta.
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Luigi Mora, “paglista”
Luigi Mora, “paglista” (Colorno, 15 marzo 1886 – Colorno, 8 dicembre 1956)
Nacque a Colorno il 15 marzo 1886, per guadagnarsi da vivere lavorava come operaio lattoniere e vetraio con lo zio materno Domizio Delfrate. Fu il primo “paglista” italiano: nelle ore di libertà e in quelle sottratte al riposo, con costanza e pazienza, aveva inventato un metodo per l’esecuzione di finissimi ricami artistici con la paglia di frumento. Nel Gran Libro D’oro è descritto come «un simpatico giovane, esempio di instancabile lavoratore, di ammirevole gusto artistico che a pochi è dato di possedere». La sua arte si configura in 12 tavole divise in tre parti ingegnosamente ideate e combinate: la prima dà i preliminari riguardanti la paglia, la seconda tratta l’intreccio e la terza riguarda l’intarsio, sistema di lavorazione paglistica fissato in un libro di sua pubblicazione, adottato come lavoro manuale dalla Scuola “Corso Magistrale” di Rimini. Era il fratello del pittore Dino che amava chiamare “il mio disegnatore” in quanto era lui che gli forniva la base per la creazione dei disegni su tavole, lavorati ad intreccio ed intarsio con paglia di frumento di Firenze: una paglia priva di nodi e quindi per sua natura adatta a questo tipo di lavorazione. Fu artista di valore, ma anche ottimo cittadino. Non potendo partecipare attivamente alla difesa della patria perché riformato, si rese utile arruolandosi volontariamente nel Cantiere Aeronautico Ansaldo di Borzoli a mare in qualità di lattoniere. Nei numerosi articoli di giornale che lo onorano, si apprende che il cavalier Luigi esegue, anche su commissione, lavori in paglia che vengono poi offerti in voto, a diversi Santuari. In onore dei caduti colornesi della seconda guerra mondiale, realizzò due quadri celebrativi, oggi conservati nell’Archivio Storico del Comune di Colorno. Luigi Mora morì a Colorno l’8 dicembre 1956, riposa nel cimitero locale a fianco della moglie Pierina Ghezzi e dei figli Dino e Rosetta.
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Luigi Mora, “paglista”
Luigi Mora, “paglista” (Colorno, 15 marzo 1886 – Colorno, 8 dicembre 1956)
Nacque a Colorno il 15 marzo 1886, per guadagnarsi da vivere lavorava come operaio lattoniere e vetraio con lo zio materno Domizio Delfrate. Fu il primo “paglista” italiano: nelle ore di libertà e in quelle sottratte al riposo, con costanza e pazienza, aveva inventato un metodo per l’esecuzione di finissimi ricami artistici con la paglia di frumento. Nel Gran Libro D’oro è descritto come «un simpatico giovane, esempio di instancabile lavoratore, di ammirevole gusto artistico che a pochi è dato di possedere». La sua arte si configura in 12 tavole divise in tre parti ingegnosamente ideate e combinate: la prima dà i preliminari riguardanti la paglia, la seconda tratta l’intreccio e la terza riguarda l’intarsio, sistema di lavorazione paglistica fissato in un libro di sua pubblicazione, adottato come lavoro manuale dalla Scuola “Corso Magistrale” di Rimini. Era il fratello del pittore Dino che amava chiamare “il mio disegnatore” in quanto era lui che gli forniva la base per la creazione dei disegni su tavole, lavorati ad intreccio ed intarsio con paglia di frumento di Firenze: una paglia priva di nodi e quindi per sua natura adatta a questo tipo di lavorazione. Fu artista di valore, ma anche ottimo cittadino. Non potendo partecipare attivamente alla difesa della patria perché riformato, si rese utile arruolandosi volontariamente nel Cantiere Aeronautico Ansaldo di Borzoli a mare in qualità di lattoniere. Nei numerosi articoli di giornale che lo onorano, si apprende che il cavalier Luigi esegue, anche su commissione, lavori in paglia che vengono poi offerti in voto, a diversi Santuari. In onore dei caduti colornesi della seconda guerra mondiale, realizzò due quadri celebrativi, oggi conservati nell’Archivio Storico del Comune di Colorno. Luigi Mora morì a Colorno l’8 dicembre 1956, riposa nel cimitero locale a fianco della moglie Pierina Ghezzi e dei figli Dino e Rosetta.
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Dino Mora
Dino Mora (Colorno, 21 aprile 1880 – Nervi, 1950)
Dino Mora, pittore e decoratore, nacque a Colorno il 21 aprile 1880 da modesta e onorata famiglia, figlio di Antonio (barbiere) e della sorella di Domizio Delfrate, Maria Rosa (massaia). Di umili origini, fin da giovanissimo rivelò attitudini non comuni nell’arte del dipingere così, a prezzo di grandi sacrifici ed economicamente aiutato dallo zio materno, terminati gli studi della scuola elementare, frequentò l’Istituto di Belle Arti di Parma dove, allievo di Cecrope Barilli, si diplomò a soli diciassette anni conquistando il primissimo premio del Corso Speciale d’Ornato e due Menzioni Onorevoli. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento dipinse affreschi, quadri ad olio e decorazioni d’arte sacra in molte chiese parmensi. Nel Duomo di Colorno, dedicato a S. Margherita, decorò la maggior parte delle cappelle: San Rocco, per la quale dipinse anche scene della carità del Santo medesimo, San Giuseppe, Tutti i Santi, Sant’Antonio, la Madonna, San Carlo e San Claudio e per quest’ultima, oltre alle decorazioni, dipinse due quadri ad olio, Santa Angela Merici e il Sacro Cuore di Gesù. È da ricordare che, oltre alle chiese, fece dono del suo talento anche a privati, colornesi e non, lasciandone traccia all’interno e all’esterno dello loro abitazioni. Amico e sempre in contatto con il Prof. Glauco Lombardi, ricercatore e studioso di cose storiche ed artistiche sulla vita della Versailles colornese, eseguì sotto la sua guida, attraverso documenti e disegni del tempo, le ricostruzioni storiche dei monumenti più peculiari di Colorno, dando prova di fantasia e buon gusto. illustrazioni che permangono e arricchiscono le testimonianze storiche del paese. Fu anche insegnante. Nell’ambiente scolastico si distinse per saper amorevolmente profondere i tesori della sua cultura, sostenendo e guidando i giovani allievi nel corso della loro maturazione artistica, aderendo e promuovendo iniziative di carattere propagandistico e di beneficenza. Nonostante la lontananza dalla sua Colorno, non dimenticò mai il paese natale ove faceva ritorno sempre con grande commozione e nel quale, soprattutto durante il periodo estivo, coltivava i suoi affetti famigliari e d’amicizia. Dino Mora morì a Nervi (Genova), dove è sepolto nel cimitero locale ed è ancora onorato dalla visita di allievi riconoscenti.
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Claudio Salvatore Balzari
Claudio Salvatore Balzari (Colorno, 25 dicembre 1761 – Parma, 17 aprile 1839)

Claudio Salvatore Balzari, pittore, nacque da Pier Antonio e Maria Elisabetta Solari, entrambi di origine svizzera (erano provenienti da Altdorf). Il padre, custode dei magazzini del Palazzo Ducale di Colorno, diede una buona educazione al figlio, che rivelò facilità per gli studi sia letterari che scientifici, ma soprattutto una forte propensione per la musica e la pittura. Terminati gli studi trovò impiego nell’ufficio delle imposte dirette e fu poi nominato membro della Consulta del Catasto. Nello stesso tempo coltivò la passione per la pittura, dimostrando grande abilità soprattutto come paesaggista.
Il governatore di Parma Moreau de Saint-Méry gli offrì di andare a Roma per perfezionarsi, ma egli rifiutò l’offerta in favore dell’allievo Giacomo Zamperla di Fontanellato. Il suo lavoro di controllore delle imposte dirette lo portava a fare frequenti spostamenti in paesi della provincia di Parma, e ciò gli diede la possibilità di studiare più a lungo e in modo più profondo la natura, il soggetto prediletto dei suoi quadri. Fu un autodidatta e dipinse prevalentemente ad acquerello. Molte sue opere sono conservate nel Museo Glauco Lombardi di Parma. Gli furono concesse diverse cariche onorifiche: fu Accademico d’onore e professore consigliere con voto dell’Accademia delle Belle Arti. Fu amico di molti esponenti della cultura ed artisti, in particolare di Giuseppe Boccaccio, che aiutò personalmente a continuare gli studi. Antonio Melloni, padre di Macedonio, lo volle sepolto nella propria tomba di famiglia nel cimitero della Villetta.
Chiesa dei Santi Faustino e Giovita
E’ menzionata per la prima volta in un rogito notarile dell’835. Pesantemente danneggiata dal terremoto del 1831, l’edificio subì una radicale ristrutturazione in seguito alla quale assunse l’attuale aspetto neoclassico. Restauri effettuati dopo il terremoto del 1971 hanno riportato alla luce, in corrispondenza dell’abside, tracce di una preesistente ecclesia romanica.
L’interno, a tre navate, consta di sei altari laterali, oltre a quello maggiore. Di particolare pregio storico-artistico è l’ottocentesco organo Serassi, recentemente restaurato. Riveste un certo interesse artistico l’omogeneo apparato di stucchi risalente alla prima metà dell’ottocento comprendente gli altari, le balaustre d’ organo e cantoria, il pulpito opere di Matteo Rusca.
Gli altari sono ornati da alcuni dipinti di scuola parmense, pregevole la pala dell’altare maggiore raffigurante il Martirio dei SS. Faustino e Giovita opera di Giuseppe Peroni del 1748.
Chiesa di San Siro, Coenzo
La Chiesa di San Siro viene citata la prima volta in una pergamena del 1140 nella quale si dice che un certo Gerardo de Monasterio <refutavit> nelle mani della Badessa di S. Alessandro, Agnese, ogni diritto che aveva nella Chiesa di “Cohencio”. La Ratio Decimarum del 1299 ci precisa che la Chiesa di San Siro era dipendente dalla Pieve di Sorbolo, notizia che venne confermata anche dall’Estimo del 1354. Nell’anno 1564 la Chiesa di San Siro era già Parrocchiale, fu ricostruita nel 1793 l’abside della vecchia Chiesa costituisce l’attuale Sagrestia, nella quale si conserva un pregevole affresco rappresentante la Crocefissione. Altre cose degne di nota, esistenti ancora oggi, sono i “Quindici Misteri”, opera di un pittore di stile fiammingo o di scuola cremonese, databili alla fine del 1500 e un dipinto raffigurante S.Siro e gli Angeli, datato 1680, opera di Antonio Lagori, Un “ECCE HOMO” del 1600 dipinto su tela è da considerarsi un’opera pregevole, di ispirazione artistica tedesca, che possiede una notevole intensità espressiva. Di pittore emiliano nel 1700, del Peroni probabilmente, una “Madonna col Bambino” di ottima fattura. Un ignoto dello stesso secolo ha dipinto ad olio su tela un “S. Andrea Avellino” sorretto da due diaconi mentre celebra la messa. Vi sono anche alcune statue di legno di buona fattura (S. Carlo Borromeo, S. Francesco, S. Antonio Abate) ed angioletti porta candelabri in legno intagliato dorato del 1700.
Chiesa di San Giorgio, Sacca
Si parla della prima chiesa di Sacca in un atto dell’11 settembre 1140 e nel 1230, nella pergamena della Decime, come dipendente dal monastero di San Giovanni. La chiesa attuale venne ricostruita su quella preesistente, distrutta dalle acque del Po, all’inizio del Settecento. Il prospetto principale, delimitato da due semplici paraste e aperto da un portale trabeato, culmina in un timpano. L’interno presenta un impianto planimetrico a navata unica, con sei cappelle laterali e presbiterio absidato. Il campanile reca un orologio sul prospetto principale ed è caratterizzato da una cella campanaria con bifore e termina in una cuspide conica.